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Appunti per ripartire

Il PD, con il 22,7%, ha arrestato l’emorragia di voti che è un trend storico dalle elezioni del 2008. Un risultato non scontato, dopo un anno di incertezze, un congresso faticoso, arrivato tardi. Poco prima delle primarie i sondaggi ci davano al 16%.


Ma non basta, non possiamo essere soddisfatti.




A volerli leggere con spirito costruttivo, i dati elettorali delle europee e delle amministrative ci suggeriscono alcuni spunti per lavorare per battere i nazionalpopulisti che sono i veri trionfatori di queste elezioni.


  1. Il Sud. Nel Meridione siamo ancora sotto la media nazionale. Non è solo una questione di classi dirigenti (vedi punto 2), ma di progetto. Se vogliamo essere credibili come forza di modernizzazione e come partito del lavoro e degli investimenti non possiamo non aggredire il vero elefante nella stanza della stagnazione italiana, che sono le condizioni del Meridione d’Italia. Se vogliamo essere un partito nazionale, sul Sud dobbiamo avere un progetto. E’ una cosa di cui sono sempre più convinta, della quale so poco, sulla quale bisogna lavorare.

  2. La credibilità delle persone. La politica è prima di tutto persone. Lo è ancora di più in questo momento di disorientamento e sfiducia. Quando candidiamo persone credibili, gli elettori ci scelgono. Lo si vede leggendo il dato elettorale a macchia di leopardo dei quartieri di Milano: dove abbiamo persone di territorio, riconoscibili per il loro impegno, vinciamo, anche in periferia. Gli elettori si fidano degli amministratori locali che conoscono e fanno vincere al primo turno in città difficili come Bergamo, come Firenze, come Bari, si premiano i candidati per le europee (significativi i risultati di Pisapia e insieme di Calenda, di Bartolo). La scelta di Zingaretti di fare liste plurali, coinvolgendo personalità anche esterne alle filiere di partito, ha pagato. Dobbiamo continuare a investire in una rigenerazione della classe dirigente. Ho molto apprezzato la generosità con cui Chiamparino si è assunto l’onere del risultato in Piemonte, lasciando spazio a una nuova generazione che già c’è nel partito piemontese. I partiti servono a questo: trovare, selezionare, formare classe dirigente. Siamo un partito, diamoci di fare soprattutto dove non ci sono persone credibili.

  3. Il progetto. Siamo ancora troppo poco attrattivi per un nuovo elettorato (lo spiega bene l’Istituto Cattaneo). Pur avendo affrontato la campagna elettorale con delle proposte chiare (il lavoro come questione sociale, l’economia verde, la questione demografica e l’investimento in istruzione) non siamo ancora riusciti a renderle vive tra i cittadini. Serve lavorare in modo diverso, fuori dalle istituzioni, tra i cittadini, raccogliendo idee, spunti, spiegando, ascoltando.

  4. Analogico e digitale. Come abbiamo visto dallo sfascio dei 5S, la comunicazione social non è tutto. Noi abbiamo funzionato molto bene tra le persone, mentre sul web dobbiamo recuperare un vero gap tecnologico. Io penso si possa fare soprattutto integrando gli strumenti tecnologici con la rete di persone che vengono alle primarie, che volantinano, che ci sostengono. Sono tantissime, la nostra campagna elettorale deve molto a loro. Coinvolgiamoli di più durante i periodi non elettorali: i contatti tra persone vere contano molto di più, gli strumenti tecnologici però sono strumenti di straordinaria mobilitazione.

  5. Città/campagna. Il PD torna a essere competitivo in tante grandi città. Non facciamoci imprigionare dall’idea che il PD sia il partito delle grandi città e la Lega il partito dei piccoli centri. L’Italia è il Paese degli ottomila comuni. C’è un patrimonio di urbanità diffusa, nei grandi centri come nei borghi, che spesso viene sottovalutato e sul quale dovremmo invece costruire una nuova cultura complessa e inclusiva, tipica dei centri urbani, che può sconfiggere le idee di chiusura dei nazionalpopulisti.

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