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Il partito delle primarie


Mentre le altre erano delle liturgie della politica, queste primarie sono state vere, perché per la prima volta contendibili. E i veri vincitori sono sì i 3,1 milioni di persone che sono andati a votare alle primarie del centrosinistra ma soprattutto i circa 90mila (stimati a 10 per seggio) volontari che hanno reso possibile il voto. I quali, invece di fare volontariato con i bambini dell’oratorio o nei doposcuola per insegnare italiano agli immigrati, invece di mettere a disposizione del tempo per fare i tortellini e lo gnocco fritto alla Festa democratica, hanno messo a disposizione il loro tempo perché altri cittadini potessero esprimersi in modo anche diverso dal loro, perché funzionasse una macchina che portasse a un risultato democratico, magari non quello che ciascuno di loro sperava. Questo non è l’ennesimo contributo alla retorica della partecipazione: il 25 novembre, queste persone hanno cambiato, in modo netto e direi definitivo, l’obiettivo e la natura stessa dei partiti politici in Italia.

Infatti, il vero dato politico che esce più dai seggi che dalle urne del 25 novembre è l’incredibile sforzo organizzativo che è stato fatto dalle migliaia di volontari ai seggi. Senza organizzazione, si diceva in tempi andati, non c’è la politica, e quando manca la politica, spesso, l’organizzazione fa da politica: ed è così che il Partito democratico si caratterizza per essere una cosa diversa dalla tradizione dei partiti italiani (una parte della quale, nobilissima, in parte ci ispira). I partiti si sono sempre basati su tesserati che partecipavano alla vita di questi, che discutevano negli organismi dirigenti, che si mobilitavano per campagne di informazione, sostegno o opposizione. Il PD oggi è diverso: è un partito che non riesce più a mobilitarsi in modo massiccio per nessuna campagna “di propaganda”, che fatica spesso a riunire gli organismi dirigenti per la discussione politica (purtroppo spesso anticipata dai tempi stressi dell’attualità politica). Il 25 novembre però ha dimostrato di essere un corpo intermedio vivo, funzionante e strutturato, in modo diverso: è infatti in grado di mettere in campo e coordinare migliaia di volontari, una gran parte dei quali magari non è neanche iscritta, affinché la selezione dei nostri candidati sia partecipata, aperta, alla portata di tutti.

Sarò un po’ trasportata dalle tante, belle facce di chi ieri, per ore, senza perdere la pazienza, sempre con un sorriso, ha assistito gli elettori, ma io credo che tutte quelle facce, quelle ore di lavoro volontario siano il segno di un’altra struttura di partito che è andata formandosi e di un’organizzazione radicalmente diversa su cui poggia la nostra capacità e attrattività politica. Siamo stati alcuni anni (circa, dal 2007) a cercare di capire esattamente che “forma” dovesse avere il partito democratico, e ieri la forma è apparsa in tutta la sua forza: per la prima volta, con un sistema di registrazione serio – o complicato – è stato possibile votare su tutto il territorio nazionale in una competizione dall’esito aperto.

La consapevolezza di questa nostra identità va molto oltre il dire che “le primarie sono nel nostro Dna”. Noi siamo in grado di mobilitare migliaia e migliaia di persone su tutto il territorio nazionale che si mettono a disposizione per permettere ai cittadini che si riconoscono nel centrosinistra di scegliere il candidato di tutti. E’ un gesto di grande fiducia collettiva: andando a votare, ma soprattutto rendendosi disponibili per organizzare il voto, si dimostra di credere nel fatto che l’intelligenza collettiva da’ un risultato migliore della somma delle intelligenze individuali e soprattutto verso le preferenze individuali. E’ anche un imperativo organizzativo dalla portata rivoluzionaria: i “militanti” hanno cambiato faccia, disponibilità di tempo e entusiasmo verso compiti diversi. Oggi sono a disposizione di un partito che si apre e dà la possibilità di scegliere le elites in modo diverso. Nella discussione post-primarie, questa consapevolezza  dovrà iniziare a caratterizzare in modo serio il nostro agire politico.

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