Il 16 settembre dell’anno scorso una ragazza curda di 22 anni, Mahsa Jîna Amini, è morta in un ospedale di Teheran in circostanze oscure. Tre giorni prima la polizia morale del governo iraniano l'aveva arrestata con l'accusa di non aver indossato l'hijab nel modo corretto. I funzionari del governo avevano diffuso la notizia falsa che fosse morta per un infarto improvviso, ma Mahsa Jîna Amini era morta esclusivamente per la brutalità della polizia.
I cittadini iraniani non ci hanno pensato due volte e sono scesi subito in piazza al grido di “Jin, Jîyan, Azadî” – lo slogan curdo per “Donna, Vita, Libertà.” Sei mesi dopo, la repressione del regime aveva già ucciso 530 persone e incarcerate oltre 19.000 (Fonte:@ispigram). Ma nonostante la brutalità del regime, la protesta non si fermava e ancora oggi non è ferma.
Per troppo tempo i cittadini iraniani hanno vissuto sotto un regime che li opprime. Per troppo tempo le donne hanno vissuto sul proprio corpo politiche repressive imposte da un regime che non le rappresenta. Per troppo tempo donne e uomini hanno lottato per un Paese libero e democratico, chi con la voce, chi con la poesia, chi con il carcere, chi con la vita. Qualche mese fa in un’intervista @marjanesatrapi diceva: “Il regime ha creato moltissime scuole per indottrinarci, ma ha fatto male i conti: una volta che sai leggere, leggi quello che vuoi e sei libero.” È per questo che dobbiamo affiancare la loro lotta: per vedere, un domani, un Iran libero.
[Grazie ad@amnestyitaliaper i continui aggiornamenti e per le foto degli attivisti e attiviste in Iran]
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