Il 22 maggio 1978 entrò in vigore la legge 194 che depenalizzò e regolamentò l'aborto in Italia. Prima del 1978, in Italia, l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) era considerato un reato in qualsiasi sua forma, punito con la reclusione dal codice penale.
Al tempo, nella stesura della legge, il riconoscimento dell'obiezione di coscienza era previsto come un'eccezione. Ma in questi 44 anni, questo strumento è stato utilizzato sempre più in larga misura, minando il diritto all'aborto previsto dalla legge. Inoltre, le regioni si sono organizzate in modo diverso per fornire l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Nell’agosto 2020 il ministero della Salute pubblicò delle linee guida per facilitare il ricorso all’aborto farmacologico. Ma sono indicazioni che danno una facoltà alle Regioni, e non tutte le Regioni le hanno applicate.
Questo insieme di cose fa sì che la legge per l’aborto sia uguale per tutte ma la sua applicazione no: ci sono enormi disparità tra regione e regione e tra ospedale e ospedale per quanto riguarda il diritto all’aborto.
Secondo l'indagine "Mai Dati" condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove che abbiamo presentato alla Camera insieme all' Associazione Luca Coscioni a maggio 2022, in Italia ci sono almeno 31 strutture (24 ospedali e 7 consultori) tra le 180 prese in esame che hanno il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Ci sono quasi 50 strutture con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 con un tasso di obiezione superiore all'80%. E anche nelle strutture dove è possibile abortire, quanto è ampia la scelta?
L'indagine ci dimostra che la scelta tra aborto farmacologico e non farmacologico rimane molto limitata, visto che poche strutture utilizzano la pillola RU486.
L'aborto è un diritto e in quanto tale deve essere tutelato e garantito allo stesso modo in tutta Italia. Per questo chiediamo: 1) che i dati sull'applicazione della legge 194 siano in formato aperto, di qualità, che vengano aggiornati in tempo reale e che riguardino le singole strutture; 2) che venga istituito un indicatore che rappresenti la reale possibilità di IVG in tutti i territori regionali d'Italia; 3) che l’IVG rientri nel sistema di misura dei livelli essenziali di assistenza (LEA), in modo tale che i finanziamenti alle regioni siano parametrati anche in base alla capacità delle regioni di garantire questo diritto.
P.S. Se siete interessate a cosa succede in Lombardia vi rimando al lavoro meticoloso fatto da Paola Bocci
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