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LA RESISTENZA DELLE DONNE

Provate a immaginarvi cosa voleva dire nel 1945 per una donna essere una partigiana. Imbracciare le armi in un Paese intriso di bigottismo e di stereotipi. Difendere il proprio Paese senza nemmeno avere il diritto di voto. Provate a immaginarvi essere state in prima linea rischiando la vita senza poi ricevere un vero riconoscimento.

Secondo alcune stime di ANPI le donne che hanno partecipato alla resistenza sono state circa 70mila. Nella maggior parte dei casi, le donne partigiane facevano le ‘staffette’: portavano cibo, armi, riviste, materiali di propaganda. Altre avevano un ruolo di protezione nei confronti dei partigiani: li curavano, li nascondevano o portavano loro viveri. Altre ancora, circa 35mila, hanno partecipato direttamente alla lotta armata. Tutte loro rischiavano la vita, torture e anche violenze sessuali. Eppure, sono soltanto 19 le donne che nel dopoguerra hanno ricevuto la Medaglia d’onore per le loro azioni durante la resistenza. A quel tempo riconoscere il ruolo delle donne nella resistenza avrebbe significato riconoscere di fatto un’uguaglianza di genere e questo non era possibile.

Per questo oggi vorrei dedicare la giornata alla resistenza delle donne partigiane. A Carla Voltolina, partigiana socialista che militò nelle formazioni Matteotti prima a Torino e poi nelle Marche; a Gina Bianchi, nome di battaglia “Lia,” partigiana milanese; a Onorina Brambilla, nome di battaglia “Sandra,” che militò nei GAP (Gruppi di azione patriottica); e a tutte quelle donne senza le quali la resistenza non sarebbe stata possibile.


[In foto: Carla Capponi, al centro accovacciata fra i gappisti romani nel 1944]

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