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La Siria e il rompicapo della politica internazionale


La prima spiegazione sul perché nessuno sia intervenuto in Siria con decisione, nonostante che vi sia anche secondo le Nazioni Unite una “guerra civile” costata più di diecimila vittime (quattordicimila secondo alcune fonti) è perché la vicenda siriana è una questione molto complicata.

Innanzitutto sul piano interno: la minoranza alawita (una setta sciita a cui apparteneva sia Hafiz al-Assad che suo figlio Bashir) che governa il paese da circa quaranta anni non gode più del sostegno di cui godeva fino allo scoppio della Primavera araba. Persino parti delle elite militari stanno defezionando anche se alla spicciolata e in modo discontinuo. Il quadro dell’opposizione non è però per nulla chiaro, perché le forze di opposizione sono divise tra interne e esterne, appoggiate dal Qatar, dalla Turchia e dell’Arabia saudita. Il non riuscire ad identificare una forza per il dopo-Bashir pesa sicuramente sulle spalle di chi immagina un cambio di regime a Damasco: non riuscire ad identificare una credibile alternativa finisce per prolungare la vita di Bashir al Assad e costare ai cittadini siriani moltissimo in termine di violenze, repressione, vite umane.

Vi è poi il piano regionale: se cade la Siria, cade l’alleato dell’Iran nella regione. E un Iran già nervoso per le pressioni e le sanzioni relative al proprio programma nucleare non riuscirà a considerare in modo disteso un intervento contro il proprio baluardo nella regione. E indebolire un nemico già nervoso probabilmente non conviene a nessuno. Sul piano regionale si aggiungono le pesanti interferenze turche, del Qatar e dell’Arabia saudita, le quali non hanno ancora chiari i rapporti di forza e l’evoluzione della politica nel paese.

Il piano globale aggiunge altri elementi di complessità: non ci troviamo più in un mondo bipolare, ma viviamo in un universo multipolare, dove non comandano né un egemone da solo né decidono tutto due super-potenze. E’ finita quindi l’epoca dell'”amico del mio amico è mio amico” della Guerra fredda, che permetteva di leggere in modo dicotomico le relazioni di potere internazionale, in cui la Siria amica dell’Unione sovietica era da evitare o quando necessario da condannare. Oggi esistono principi universali e una grande difficoltà a sostenerli all’atto pratico.

Il quadro del cosiddetto intervento internazionale, con una missione di osservatori della Lega araba seguita dalla mediazione dell’ex-segretario generale Kofi Annan puntualmente disattesa in ogni suo passo avanti, dà il senso della complessità e dell’impotenza degli strumenti tradizionali di mediazione e pressione per intervenire in una situazione come quella siriana.

Ma una buona politica internazionale – e per buona intendo una politica internazionale rispettosa di principi, diritti, dinamiche – non può fermarsi davanti alla complessità. Forse, in Siria, l’attacco a un aereo turco da parte delle forze armate sta per sbloccare la situazione.

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