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Lampedusa, occupiamoci di quei corpi senza nome


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Impossibile fare di peggio. Così sono stati commentati i funerali delle vittime di Lampedusa, tenutisi in modo scomposto e in gran ritardo lunedì 21 ottobre, in tono minore rispetto ai funerali di stato ipotizzati dal primo ministro Letta e in assenza dei defunti, seppelliti per ragioni di sanità pubblica nei giorni precedenti in vari cimiteri della Sicilia.

La presenza del governo eritreo alla cerimonia, un governo che non riconosce il dramma nazionale che spinge un quarto della propria popolazione a emigrare all’estero, ma che è stato prontissimo ad incassare politicamente i dividendi della tragedia, ha aggiunto danno alla beffa, indignazione al dolore già profondissimo delle famiglie.

Eppure, sì, è possibile ancora fare di peggio. Perché celebrate le esequie, si apre ora la questione straziante della restituzione delle salme. Alcune famiglie ne hanno già fatto richiesta, ma il problema è complesso perché alla questione della riconoscibilità del Dna delle vittime si aggiungono questioni legate ai rapporti internazionali.

La maggior parte dei congiunti delle vittime infatti non vive in Italia, ma o è rifugiata o immigrata in altri paesi europei, oppure è residente in Eritrea, paese nel quale i familiari di primo grado delle persone che emigrano sono sottoposte al pagamento di multe o persino all’incarcerazione.

In ogni caso, si tratta di persone che vivono in situazioni di fragilità di diritti e per le quali è difficile, più difficile che per altri, ottenere la restituzione della salma di un congiunto. Per queste persone, è necessario che le nostre ambasciate all’estero siano pronte e mobilitate ad assisterle. Per chi vive in Eritrea, addirittura, le organizzazioni internazionali segnalano che la richiesta di restituzione della salma potrebbe esporle a ritorsioni da parte del governo eritreo.

E se il governo vuole evitare il peggio, se il governo vuole evitare di aggiungere indegnità al dolore deve assolutamente fare due cose che non è riuscito a fare fino ad adesso. Da un lato, istituire una piccola cabina di regia che metta insieme funzionari del ministero degli Interni e degli esteri per seguire le famiglie delle vittime nelle loro legittime necessità. Perché se la tragedia di Lampedusa non era forse evitabile, certamente era prevedibile il fatto che fosse necessario assistere le famiglie delle vittime.

E in secondo luogo il governo italiano deve decidere che tipo di rapporti tenere con Asmara. Fino ad oggi l’Italia ha cercato di tenere aperti i canali diplomatici con il regime di Isaias, mantenendo un atteggiamento più morbido di altre nazioni nei confronti di questo paese. Ma a fronte di un regime autoritario tra i peggiori al mondo, che punisce i propri cittadini che emigrano trattando loro e le loro famiglie come criminali, ma che è pronto a sfruttare politicamente senza scrupoli una tragedia che ha contribuito a far accadere, bisogna prendere una posizione.

Il governo eritreo ha richiesto la restituzione delle salme, ma nessuna famiglia nel paese si è finora fatta avanti. Si deve dire con nettezza che il governo italiano sta con le famiglie delle vittime e che le tutela quindi a fronte di un regime oppressivo e odioso. Si devono inoltre proteggere i sopravvissuti dal naufragio e le famiglie delle vittime accorse a Lampedusa: fonti giornalistiche riportano della presenza di persone legate al regime che si aggirano tra Lampedusa e la Sicilia, presentandosi come interpreti o mediatori, ma in realtà essendo pronti a schedare gli emigrati.

Il governo italiano non può avere speso parole altissime, in parlamento e a Lampedusa, per commentare la tragedia, e non essere in grado di esercitare quei principi fondamentali di umanità e solidarietà richiamati in parlamento dal ministro Alfano.

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