I paesi crescono quando le donne lavorano. Le nazioni prosperano quando più donne decidono. Bambini e bambine nascono quando le madri guadagnano.
Le donne sono metà della popolazione. Eppure in Italia rimangono ai margini. Solo la metà delle donne lavora. E le madri spesso rinunciano al lavoro. Donne economicamente non indipendenti sono più a rischio di violenza e abusi. Siamo il primo paese in Europa in cui gli e le under 15 sono meno di chi ha più di 65 anni. Sono in crescita i ragazzi e le ragazze che non studiano e non lavorano. E sono prevalentemente ragazze. Siamo, o pensiamo di vivere, in un Paese che va male e che quando funziona, funziona per pochi. Un Paese dove chi ha bisogno del potere per cambiare le cose è relegato ai margini, a partire proprio dalle donne.
Tutti questi fatti sono collegati tra loro: se lasci da parte metà della popolazione, avrai un paese più debole, più vecchio, più fragile. Eppure basterebbe così poco. Durante la pandemia e durante l’unità nazionale, abbiamo imparato che l’Italia è più forte se unita. Se l’Italia potesse contare sulle energie, sui talenti, sulle idee di tutti e di tutte sarebbe un paese diverso, un paese più robusto e più capace di affrontare le avversità.
Nel dibattito pubblico italiano le donne non ci sono. Secondo i dati di Eurobarometro solo il 21% delle notizie della carta stampata e il 27% di quelle online in Italia riguardano le donne. Le donne sono invece sproporzionatamente rappresentate nelle fasce più in difficoltà del nostro Paese. Disoccupazione, povertà, sostenibilità del regime pensionistico sono tutti grandi nodi nazionali irrisolti che diventano ancora più preoccupanti se declinati al femminile. In Italia il 50,3% delle donne lavora (dati del 2021), mentre il tasso di occupazione nazionale (donne e uomini) è del 59,2%. Quando lavorano, le donne guadagnano anche il 20% in meno degli uomini, anche perché spesso sono occupate con contratti part-time, fanno lavori a intermittenza, si trovano a interrompere più spesso le carriere e sono più spesso assunte con contratti precari. La differenza di guadagni peggiora tra chi ha una partite IVA: le lavoratrici autonome guadagnano in media il 29% di meno. Carriere interrotte e discontinue portano a pensioni molto più basse (l’importo lordo medio annuo che riceve un pensionato uomo in Italia è di 15.757 euro, una donna 9.875 euro) e a grandi differenze di ricchezza e risparmi accumulati. Forse è per questo che tante giovani donne scelgono di andare all’estero, dove trovano più opportunità di lavoro e di avanzamento, meno soffocate da stereotipi e pregiudizi.
Eppure non si può dire che le donne italiane stiano con le mani in mano: le donne in Italia si sobbarcano i tre quarti del lavoro di cura non pagato: faccende domestiche, incombenze familiari, cura di bambini, anziani e persone con disabilità. La pandemia ha peggiorato il divario tra la condizione delle donne e degli uomini in Italia. In questi anni le donne italiane si sono date da fare. Hanno investito su sé stesse: oggi le ragazze studiano di più e con migliori risultati rispetto ai coetanei maschi. Risparmiano di più. Si sono impegnate in movimenti civici, spontanei e concreti, per includere, per promuovere una migliore amministrazione quotidiana delle nostre città, o per sostenere scelte di sviluppo utili al futuro dell’Italia. Tutte occasioni in positivo, generatrici di impegno e di futuro. Dai comportamenti individuali e collettivi delle donne italiane in questi anni continua a sprigionare una energia positiva della quale c’è sempre più bisogno.
Per affrontare il vero ritardo dello sviluppo italiano, dobbiamo partire da qui: rendere le donne partecipi a pieno titolo della vita della Repubblica, titolari di diritti e doveri, depositarie di saperi e desideri. Lo dobbiamo fare anche perché il contesto internazionale ci restituisce un pericoloso arretramento dei diritti delle donne in vari paesi occidentali: negli Stati Uniti dal 24 giugno 2022 l’aborto non è più un diritto costituzionalmente garantito, nell’Ungheria di Orban un organismo del Parlamento ha pubblicato un rapporto che denuncia il pericolo per la nazione e la natalità costituito da donne troppo istruite, in Polonia l’aborto è stato praticamente reso illegale.
Vogliamo difendere e estendere i diritti delle donne, che sono diritti di tutti.
Vogliamo che l’Italia del 2030 sia un paese in cui l’occupazione femminile sia ai livelli degli altri paesi d’Europa (nel 2021 eravamo l’ultimo paese per occupazione femminile), in cui non ci sia divario tra i salari delle donne con figli e delle donne senza figli e in cui il tasso di natalità torni a crescere.
Per questo ci impegniamo a:
- attuare la parità salariale tra donne e e uomini (legge Gribaudo) - approvare il congedo di paternità obbligatorio a 5 mesi e una legge sul part-time di coppia e sul lavoro agile di coppia agevolato - diffondere nidi, scuole materne e tempo pieno per tutti e per tutte - garantire il diritto all’aborto, assicurando l’applicazione della legge 194/1978 in ogni sua parte in tutta Italia - Tutelare la salute a 360 gradi, a partire dal supporto post-parto e dalla presa in carico delle malattie croniche e invalidanti femminili come endometriosi e vulvodinia - Potenziare i centri anti-violenza - Espandere i servizi di cura per le persone anziane e con disabilità - Sostenere l’imprenditoria femminile
Una Italia per tutte è una Italia per tutti.
Lia Quartapelle Marianna Madia Chiara Gribaudo
Puoi firmarlo qui: https://actionnetwork.org/petitions/unitalia-per-tutte-e-unitalia-per-tutti/
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