Martedì ho partecipato ad una conferenza molto importante riguardante il tema dei minerali dei conflitti. Una iniziativa, promossa da EurAc, che ha visto il susseguirsi di interventi di elevato spessore e la partecipazione, fra gli altri, del mons. Matteo Zuppi della comunità di Sant’Egidio, del mons. Fridolin Ambongo della commissione episcopale RDC e delle onorevoli Silvana Amati ed Elena Fissore.
Il tema dei minerali dei conflitti è un tema importante di per sé e in questo momento storico è addirittura indispensabile affrontare tale argomento per due ragioni.
La prima ragione è che dei 400 conflitti aperti nel mondo, 70 hanno a che fare con la così detta “maledizione delle risorse” e 27 di questi 70 sono in Africa. La commercializzazione internazionale dei minerali quindi alimenta e intensifica i conflitti, soprattutto nella regione dei grandi laghi.
La seconda ragione muove dalla prima e si lega al dibattito pubblico italiano. Come sappiamo il nostro Paese è molto esposto al tema delle migrazioni. Un problema di diretta conseguenza dello sfruttamento della manodopera utilizzata per l’approvvigionamento dei minerali in questione.
Un problema da risolvere riducendo il tasso di conflittualità e le ragioni strutturali che spingono le persone ad intraprendere i viaggi della speranza verso l’Italia e l’Europa con delle iniziative legislative favorevoli alla pace e alla sicurezza, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo.
Quindi promuovere una legislazione che renda trasparente l’estrazione, la lavorazione e il commercio dei minerali in questione è una iniziativa importante e necessaria. A maggio il Parlamento europeo voterà il progetto di regolamento dalla Commissione UE che propone di adottare un sistema di autocertificazione che limiti l’importazione dei minerali provenienti da zone di conflitto. Il parlamento italiano, invece, ha presentato una risoluzione alla camera che spinge per una posizione più stringente a livello europeo in merito.
Qui il mio intervento introduttivo:
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