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Obama e la vittoria che fa storia


Certo, è stata la campagna elettorale più costosa della storia delle democrazie. Non si può dire che i 2,7 milioni di voti che separano Obama da Romney (ma lo spoglio della Florida non è ancora concluso) non siano valsi la spesa, visto che fino a poche ore prima dell’apertura dei seggi c’era chi paventava una sconfitta, un pareggio, il fatto di restare appesi ai provisional ballots o persino chi suggeriva che Obama avrebbe potuto vincere in virtù del gioco dei delegati ma non ottenendo la maggioranza del voto popolare.

Il costo economico della vittoria e il ridottissimo margine di vittoria sottolineano come sia stata una vittoria sofferta, combattuta e conquistata palmo per palmo, elettore per elettore. Sicuramente il risultato elettorale è stato al di sotto delle performance stellari 4 anni fa, quando Obama conquistò roccaforti tradizionalmente repubblicane, portò alle urne un numero di giovani e donne e cittadini solitamente astenuti. Ma non ci si deve far prendere dallo sconforto o da quel passatempo tipico dello scontento a sinistra: questo risultato è stato straordinario, ben al di sopra di quanto ci si potesse aspettare.

Queste elezioni sono state formidabili non solo per la narrativa e le immagini della love story presidenziale, o per il miglior discorso di tutti i tempi pronunciato da Bill Clinton. Per la storia americana, l’elezione di Obama è stata straordinaria perché nessun leader democratico negli ultimi 40 anni, tranne Bill Clinton, era riuscito a farsi rieleggere al secondo mandato e perché nessun presidente uscente  era riuscito a farsi riconfermare alla Casa Bianca con un tasso di disoccupazione superiore all’8%. Il risultato di Barack Obama alle presidenziali 2012 è unico perché a Obama è riuscita una cosa che non è riuscita a nessun leader democraticamente eletto in occidente dopo la crisi del 2008: farsi rieleggere per il secondo mandato. In questo senso la crisi è stata bipartisan: hanno fatto le spese della crisi Sarkozy in Francia, i labour in Gran Bretagna,  Zapatero in Spagna, Silvio Berlusconi poco dopo la metà del suo mandato. Persino Angela Merkel è stata rieletta nel 2009 a causa di una sconfitta: quella della Großen Koalition della CDU con lo SPD di Frank-Walter Steinmeier.

Il messaggio della straordinaria rielezione di Obama – straordinaria non perché siamo colti dall’euforia della notte trascorsa a vedere che i risultati confermavano gli exit polls – arriva a tutte le forze progressiste e democratiche: si convince l’elettorato, nonostante la difficoltà di una crisi senza precedenti, se si interpreta, anche in prima persona, con la storia di una vita, parole come uguaglianza di opportunità, progresso, inclusione sociale, impegno e merito. Se si parla di politiche industriali, come hanno fatto Obama e Clinton soprattutto guardando all’Ohio, di politiche di welfare; si vince se si è in grado di essere una grande forza popolare capace di spiegare il valore della partecipazione politica e del voto ai cittadini. Se si è in grado di promettere in modo credibile ai cittadini stranieri immigrati un percorso di inclusione loro e dei loro figli nella comunità nazionale.  Tutti elementi con cui confrontarsi, in questa stagione di primarie.

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