Ci sono paesi al mondo dove essere eletti al Parlamento comporta rischi concreti.
Come in Myanmar, dove la giunta militare ha fatto un colpo di stato per evitare che si insediasse il parlamento eletto a novembre del 2020 e alcuni parlamentari sono in carcere, altri sono scappati all’estero, altri si nascondono.
Oppure come in Brasile, dove il parlamentare gay Jean Wyllys è stato minacciato più volte di morte, tanto da costringerlo all’esilio. Il parlamentare David Miranda che lo ha sostituito, anche lui gay, ha ricevuto le stesse minacce. Vive protetto da guardie private perché il governo di Bolsonaro non ha pensato a dargli una scorta né di aprire una indagine per scoprire chi lo sta perseguitando.
Si è da poco conclusa a Madrid la 143esima sessione dell’Unione Interparlamentare #IPU, l’organismo internazionale che raggruppa tutti i parlamenti del mondo.
Ci ho partecipato, lavorando con i colleghi Laurence Dumont Députée dalla Francia, Nassirou Bako-Arifari dal Benin, Costança Urbano de Sousa dal Portogallo, Samuel Cogolati dal Belgio, Sven Spengemann dal Canada e Carmen Asiaín dall’Uruguay alla Commissione per i diritti umani dei parlamentari. Ad oggi, questa Commissione ha esaminato in totale 620 casi di parlamentari in pericolo nel mondo. C’è chi è in carcere, chi in esilio, chi vive nel proprio paese in clandestinità.
Difendere i diritti umani dei parlamentari significa difendere la democrazia nel mondo. Ma significa anche difendere i diritti umani di tutti: se un parlamentare non ha diritto a un processo equo, figuratevi cosa può aspettarsi un cittadino comune da quel sistema giudiziario.
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