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Egitto, inaccettabile il ricorso alla forza


C’è una sola posizione che si può prendere davanti a quanto sta succedendo in Egitto. Ed è quella di condannare con durezza le azioni di chiunque, con il proprio potere, le proprie forze e le proprie parole, sta facendo arretrare il paese a uno stadio di confusione, instabilità e violenza che non ha precedenti nella storia dell’Egitto.

Il percorso di transizione da un regime autoritario a un regime democratico infatti non è certamente lineare né semplice. Ma quanto sta accadendo in queste ore in Egitto è molto preoccupante perché rischia di far arretrare l’Egitto in una situazione di instabilità e frammentazione di molto più difficile soluzione.

Al di là del conto incerto delle vittime, infatti, lo sgombero di Piazza Nahda e dell’area di Rabaa al-Adawiya da parte dell’esercito e del governo ad interim, con l’obiettivo di ristabilire l’ordine, rischia di polarizzare ulteriormente una situazione già tesissima. I due principali contendenti, dopo gli scontri di piazza di oggi, saranno ancora più arroccati sulle proprie posizioni. L’esercito, infatti, chiamato dalle manifestazioni popolari ad assumere un ruolo nel contrastare la Fratellanza musulmana, rischia, dopo le violenze di queste ore, di perdere una parte del consenso diffuso, rinsaldando invece il sostegno tra le proprie fila.

La Fratellanza musulmana, al tempo stesso, vede rinforzato il proprio seguito e fa passare in secondo piano la riflessione e autocritica sulla deludente prova di governo di questi mesi. I partiti laici e liberali, già contaminati da una scelta di campo a favore dell’autocrazia, rischiano di essere ancora più ridimensionati: in questo senso, le dimissioni del vicepresidente Mohamed El Baradei potrebbero arrivare non già come una condanna a quanto portato a termine dalla polizia e dall’esercito, ma come un ulteriore indebolimento dell’opzione non militare da contrapporre all’islam politico.

Ai partiti liberali apparirà chiaro ora quanto avesse a cuore il futuro dell’Egitto chi si schierava dalla parte della democrazia chiedendo un governo di unità nazionale e non la deposizione illegittima di Morsi. Violate le procedure democratiche, strizzato l’occhio a metodi non democratici per favorire il cambiamento di governo, non c’è più un freno all’esercizio del potere anche in forma violenta. Un fallimento, questo, su cui ci sarà da riflettere a lungo.

L’azione delle potenze regionali, interessate a mantenere un’influenza diretta negli sviluppi di un vicino un tempo così protagonista degli equilibri regionali più che di facilitare una soluzione di ricomposizione delle divergenze tra campi sempre più distanti, rischia di essere altrettanto destabilizzante.

Agli Stati Uniti in questo quadro restano ben poche opzioni per riattivare una soluzione negoziale e ancora meno sembrano quelle che l’amministrazione Obama sia pronta a perseguire, a partire dalla questione della sospensione degli aiuti militari. L’Unione europea potrebbe essere l’honest broker – con meno interessi di parte, se non quelli che riguardano la stabilizzazione del paese e conseguentemente dell’area – a cui affidarsi in un caso come questo. Bisogna però che ci sia reale volontà politica di intervenire in una situazione nella quale l’unica certezza è che, lasciato solo, l’Egitto non può che scivolare verso una china sempre più pericolosa.

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