top of page

Egitto: quando la toppa è peggio del buco


Nelle democrazie, e tanto più nei regimi in transizione, la gestione del dissenso è tanto importante quanto la gestione del consenso. Ed è più o meno qui che si ferma la similitudine tra Turchia ed Egitto, tra piazza Taksin e piazza Tahrir.

In Turchia, il governo ha gestito in modo decisamente antidemocratico e pericoloso una grande manifestazione di contrarietà ad azioni di governo, mettendo in discussione i passi avanti compiuti dal Paese in termini di affermazione dei diritti civili e politici.

In Egitto, dopo un anno di gestione del potere in modo sempre più accentratore e senza riuscire a sciogliere i complicatissimi nodi della questione economica e sociale del paese, il governo della Fratellanza musulmana è stato contestato da amplissime manifestazioni di piazza. In questo caso, la vasta opposizione a chi aveva vinto le elezioni ha optato per una strada non istituzionale e altrettanto pericolosa: le forze armate hanno preso il potere in un passaggio che non può che essere definito un colpo di stato. I contorni della transizione restano ancora complicati.

Seppure non basta vincere le elezioni per governare in modo democratico, e l’esperienza di Morsi lo conferma, la legittimità che deriva dalla vittoria elettorale è cruciale: perché si fonda su un patto nazionale, in cui tutti i cittadini si riconoscono, basato sull’idea che chi governa viene scelto dalla maggioranza dei cittadini. E chi governa lo farà sulla base di un mandato rappresentativo, assumendosene la responsabilità, tutelando le minoranze e essendo pronto a sottomettere il giudizio sul proprio operato a una nuova tornata elettorale.

Avere assecondato la strada golpista in Egitto non significa solo non avere avuto rispetto del risultato elettorale – peraltro messo in discussione dalla vastità delle proteste di piazza. Significa, ancora in modo più grave, avere messo in discussione i meccanismi istituzionali alla base di un patto di convivenza sociale e politica. E’ all’interno dei meccanismi della democrazia – elezioni anticipate, governo di unità nazionale – che si sarebbe dovuto risolvere il conflitto egiziano. Non averlo fatto macchia questa fase: non ci sono più regole di selezione dei governanti riconosciute come legittime da tutti i cittadini. Se manca la legittimità, la si può ricostruire solo con la forza, la violenza.

Non è un buon inizio, e le difficoltà nel trovare un presidente a interim e un primo ministro ad interim si possono leggere in questo senso. Per questo, è difficile valutare come positiva la svolta in Egitto. E’ venuto meno il patto sulle regole della convivenza politica e civile. Ci si è fatti tentare dall’affidare la soluzione ai militari che in Egitto tutto sono tranne una forza riformatrice. La svolta lascia inalterati tutti i problemi di ordine economico e sociale alla base di molte delle proteste. L’Egitto ha davanti a sé mesi complicati.

bottom of page