Questo #8marzo penso alle donne coinvolte in un conflitto. A chi ha affidato i propri figli a altri perché stiano al sicuro. A chi combatte. A chi sta ricostruendo la propria vita con fatica dopo uno stupro per mano di un soldato, con la comunità intorno che sa, tace e giudica. A chi cerca di tenere insieme da sola la propria famiglia, perché il partner è partito per combattere o è stato ucciso. A chi è scappata dalla propria casa, e ora vive in estrema povertà, in un campo profughi. A chi è schiava sessuale, costretta a prendersi cura e a dare piacere al soldato che l’ha rapita. Alle ragazze date in sposa troppo presto, per sfuggire al conflitto. Alle bambine che non vanno più a scuola, chiusa per la guerra.
Il 70% delle vittime di guerra sono civili, e quindi in stragrande maggioranza donne e bambini. La violenza contro le donne è una costante in ogni conflitto: Afghanistan, Colombia, Rwanda, Cecenia, Darfur, Siria, ex-Yugoslavia. La violenza contro le donne come arma di sottomissione resta una abitudine orrenda, anche quando la guerra finisce: ancora oggi, in Repubblica democratica del Congo, ogni giorno 40 donne vengono stuprate.
Ma le donne non sono solo vittime, possono essere la soluzione dei conflitti, come mediatrici o negoziatrici, aiutando a costruire la pace.
Purtroppo accade troppo poco. Erano donne solo il 13% di chi ha negoziato una accordo di pace tra il 1992 e il 2019, il 6% di chi ha fatto da mediatore e il 6% di chi ha firmato un accordo di pace. Nel 2015, erano donne solo il 3% dei caschi blu dell’ONU.
Questo è ingiusto e controproducente. L’inclusione delle donne nei negoziati di pace riduce del 64% il rischio di far fallire quell’accordo e aumenta del 35% la possibilità che quell’accordo duri per 15 anni. Aumentare la presenza di donne negli eserciti del 5% dimezza le accuse di abusi.
Non sono semplicemente statistiche, ma è la realtà, anche in negoziati recenti: in Afghanistan, dove le donne sono state prima escluse dal tavolo dell’accordo tra USA e talebani, e poi, dopo il ritiro, tagliate fuori dalla vita del paese. E oggi la stessa storia si ripete, al tavolo per i negoziati sull’Ucraina. Non c’è pace, senza le donne.
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