La guerra di Gaza continua a mietere vittime, ma gli appelli alla tregua finora non hanno sortito alcun effetto. Le condizioni poste dalle due parti sembrano reciprocamente inaccettabili: il governo israeliano vuole lo
smantellamento degli arsenali di Hamas; i palestinesi la riapertura dei valichi di accesso a Gaza. Ma non si può smettere di cercare una via d’uscita politica e diplomatica da questa trappola mortale: per i civili palestinesi, ridotti a scudi umani e presi tra il fuoco israeliano e il mare, ma anche per Israele e per i suoi vicini. E per l’Europa, per gli Stati Uniti, per la comunità internazionale e le sue istituzioni, a cominciare dall’ONU.
Otto anni fa, nell’agosto del 2006, il governo Prodi fu protagonista di una iniziativa che pose fine ad un altro conflitto nell’area, quello che opponeva Israele al Libano. Anche allora, i villaggi israeliani erano bersaglio di attacchi missilistici da parte dei miliziani di Hezbollah, che controllavano il sud del paese. L’esercito israeliano rispose con i bombardamenti, che arrivarono fino a Beirut. L’iniziativa italiana, sostenuta da un’Europa mai così unita e dagli Stati Uniti, ottenne il consenso delle due parti in conflitto e approdò al Consiglio di sicurezza. Per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, una risoluzione del Palazzo di vetro fermò una guerra. Al confine tra Israele e Libano, fu dispiegata una robusta forza di interposizione, a salvaguardia della sicurezza di Israele e a supporto dell’esercito libanese, che riprese il controllo del territorio, riconducendo le milizie di Hezbollah entro limiti accettabili. Pochi giorni fa, c’è stato il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo comandante di UNIFIL, entrambi italiani, a segnare la continuità di una missione unanimemente considerata di successo. Un settimanale chiese all’allora ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, se lo schema utilizzato per affrontare la crisi israelo-libanese potesse essere adottato anche per affrontare la questione di Gaza: “Dobbiamo procedere per gradi”, fu la risposta. “Se le cose funzioneranno in Libano, gli israeliani potrebbero comprendere che anche altrove una presenza della comunità internazionale è un fattore di garanzia per loro”. Con angoscia e speranza, ci domandiamo, e domandiamo al nostro governo, se non si possano creare le condizioni per una iniziativa italiana, europea, internazionale, che affronti la crisi di Gaza, anche sulla base della positiva esperienza di quella israelo-libanese, pur nella realistica considerazione delle evidenti diversità tra le due situazioni. Solo attraverso un forte presidio della comunità internazionale e delle Nazioni Unite a Gaza sembra infatti possibile corrispondere a tutte e due le condizioni, entrambe vitali, che le parti in conflitto pongono per accettare la tregua: consentire la prosecuzione, il completamento e il mantenimento del disarmo della striscia, senza costringere Israele ad una nuova, lunga fase di occupazione; e rendere praticabili le richieste palestinesi di riapertura dei valichi di frontiera.
Nelle conclusioni del vertice europeo di giugno, l’Unione europea si è dichiarata pronta a contribuire ad una soluzione della crisi di Gaza che faccia incontrare le richieste di israeliani e palestinesi, anche riattivando la missione europea EUBAM a presidio del valico di Rafah. È un appiglio, un punto d’appoggio sul quale fare leva, per provare a smuovere qualcosa. Prima che sia troppo tardi.
GIORGIO TONINI, capogruppo Pd, Commissione Esteri Senato ENZO AMENDOLA, capogruppo Pd, Commissione Esteri Camera
(fonte: Il Messaggero)
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