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L’ITALIA NON DEVE RIPRENDERE LA COOPERAZIONE MILITARE CON L’ETIOPIA

Meloni sbaglia a riprendere la cooperazione nel settore della difesa, come invece ha annunciato oggi durante l’incontro con il presidente dell’Etiopia Abyi Ahmed che ha ricevuto oggi a Roma.

Abyi è responsabile della guerra civile contro la regione indipendentista del Tigray, lanciata con furbizia sospetta nella notte delle elezioni americane del 2020. La guerra civile contro il Tigray è costata 600mila morti, due milioni di sfollati, in una regione di sei milioni di abitanti che l’esercito etiopico, insieme a quello eritreo hanno sigillato per due anni, impedendo l’accesso sia ai giornalisti, che agli operatori umanitari che portavano aiuti alimentari e cure mediche, che agli osservatori indipendenti. Per questo se ne è parlato poco e in modo frammentato, ma tutte le notizie emerse documentano un dramma senza fine: fosse comuni, uso delle derrate alimentari come arma di guerra, stupri etnici, bombardamenti contro i civili, innumerevoli crimini di guerra e contro l’umanità su cui stanno indagando agenzie indipendenti. La guerra contro il Tigray è stata più sanguinosa della guerra in Siria.

Queste cose sono accadute, e il fatto che siano avvenute lontane dagli occhi dell’opinione pubblica internazionale, in un periodo di massima distrazione delle potenze regionali e dell’Occidente non può occultare l’orrore di quello che è stato perpetrato. Le denunce sono state del più alto livello, dall’ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU Linda-Thomas Greenfield all’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea Borrell.

Il governo italiano decise allora di tenersi lontano da quanto stava succedendo in Tigray, nonostante le ripetute richieste di aiuto da parte della comunità tigrino in Italia, dei religiosi presenti in loco e nonostante le documentate denunce di organizzazioni umanitarie. Il Parlamento italiano nella scorsa legislatura provò più volte a sollecitare il governo per un reale impegno di pace, trovando freddezza e cautela, quando ci sarebbe stato bisogno di impegno diretto, di presenza in loco, di volontà di far avvicinare gli indipendentisti tigrini al governo di Addis. Indifferenza allora che valse come un sostanziale lasciapassare per le azioni dell’esercito di Abyi e di Isaias.

Oggi la situazione è anche peggiore. Gli onori con cui il presidente Abyi è stato accolto a Palazzo Chigi occultano la sua responsabilità in quello che è avvenuto nella regione.

Meloni avrebbe dovuto essere meno affrettata nel cercare di cogliere chissà quale vantaggio da un rapporto con il presidente etiopico. Il nostro paese dovrebbe stare dalla parte di un reale sforzo di pace, giusto, sostenibile, equo. Dovrebbe stare dalla parte di chi indaga contro quei crimini, della popolazione civili, di chi si sforzerà di mettere insieme i pezzi di un paese complesso come l’Etiopia squassato dalla guerra civile in Tigray e oggi da problemi in Oromia. Già una volta il mondo si è illuso che il presidente Abyi fosse un avvocato della pace, quando nel 2019 è stato insignito del premio Nobel per la pace. Un anno dopo il suo esercito assediava una regione del suo stesso paese. Questa volta almeno l’Italia, che conosce bene l’Etiopia, le sue complessità e la necessità di mantenere un equilibrio, avrebbe dovuto usare maggiore cautela.



[Il disegno, pubblicato da Human Rights Watch, ricostruisce uno degli episodi di pulizia etnica avvenuti nel Tigray ai danni degli amhara. Trovate il rapporto completo qui https://www.hrw.org/report/2022/04/06/we-will-erase-you-land/crimes-against-humanity-and-ethnic-cleansing-ethiopias?fbclid=IwAR1onInN48h0S2p0OZ1ZKwVNGIgGtau4drFB9yDqtAAQMW7cj1vj749hcLA ]

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