Dopo aver assistito a quelle centinaia di braccia tese ad Acca Larenzia, anche ieri in Aula si respirava aria da ventennio a sentir parlare la maggioranza sul cosiddetto “Piano Mattei” per l’Africa. Parole roboanti con cui il governo ha raccontato che l’Italia è l’unico Paese europeo a non avere logiche predatorie e neo-coloniali quando si parla del rapporto con il continente africano. Forse anche qui, come nel caso di Acca Larenzia, sarebbe ora di fare i conti con la nostra storia e il nostro passato. Sarebbe ora di riconoscere, una volta per tutte, che noi italiani non siamo stati “brava gente” durante il colonialismo. La nostra esperienza coloniale ha avuto caratteristiche razziste, predatorie e fasciste, come o forse persino più altri Paesi europei. Per rispolverare la memoria della maggioranza ho ricordato in Aula alcune pagine nere della nostra esperienza coloniale: i 2000 monaci trucidati a Debre Libanos in Etiopia dalle truppe del generale Graziani; le donne vittime del madamato in Eritrea, Etiopia e Somalia; l’uso gas mostarda contro le popolazioni civili in Libia e in Etiopia ben dopo la loro messa al bando a livello internazionale.
Se Meloni vuole davvero rilanciare i rapporti con l’Africa, può ripartire da qui. Dal prendere atto delle pagine più buie della nostra storia, e dal chiedere scusa. Anche perché finora il piano del governo per l’Africa è una scatola vuota: senza risorse, senza visione, senza Europa. Solo con qualche evocazione di un passato mitico, quello appunto delle iniziative di Enrico Mattei in Africa. Ma l’Italia di oggi non è quella di Mattei, così come l’Africa non è quella di Mattei. Sarebbe ora di fare i conti con il nostro passato, di allontanarci da queste retoriche frutto di grande ignoranza e da questa nostalgia. Perché quando non si fanno i conti con il passato, la nostalgia è soltanto una grandissima trappola.
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