Trent’anni fa l’Italia - guidata dal sottosegretario agli Esteri Mario Raffaelli con il sostegno della comunità di Sant’Egidio, e da don Matteo Zuppi - fece una impresa eccezionale: il 4 ottobre 1992 nella capitale vennero firmati gli accordi di Roma che misero fine alla guerra civile in Mozambico. Un conflitto sanguinosissimo, iniziato sedici anni prima, costato un milione di morti (in un paese allora di 12 milioni di abitanti) e quasi sei milioni di sfollati. La pace di Roma fu per molti anni un successo abbastanza unico di pacificazione nel continente africano attraversato per tutti gli anni ‘90 e buona parte dei 2000 da guerre civili terribili.
Siamo un paese che tende a disinteressarsi di politica estera, e quindi dimentica anche quel risultato, che forse fu il più importante successo della politica estera dell’Italia repubblicana. A trent’anni di distanza ha senso ripercorrerne gli elementi che condussero alla firma degli accordi: - la Farnesina fu capace di favorire il dialogo, utilizzando non solo i canali governativi ma anche quelli nati dalla società civile, cioè dai rapporti tra don Zupi e don Jaime Gonçalves vescovo di Beira; - la politica decise allora di concentrarsi su una crisi internazionale non di primo piano (all’epoca era scoppiata anche la crisi nei Balcani) ma ugualmente urgente. Invece di lottare per sedersi a un tavolo negoziale prestigioso (all’epoca la fine della Guerra fredda ne aveva aperti molti), si decise che era più importante provare a concentrarsi su una crisi specifica; - L’assenza di interessi diretti italiani in quella guerra rendeva il nostro paese credibile come mediatore super partes; - La conoscenza approfondita del contesto mozambicano maturato in tanti anni di cooperazione dalla società civile italiana.
Questi elementi ancora oggi possono costituire una buona traccia per fare si che l’Italia lavori per una soluzione in altre crisi internazionali e che pesi di più in termini di politica estera.
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