Qual è il miglior modo per mantenere viva la memoria di coloro che hanno subito gli orrori del nazifascismo?
Raccontare e tramandare le loro storie di generazione in generazione. Rendere la memoria una parte quotidiana delle nostre vite, dei nostri discorsi, dei nostri libri, dei nostri pensieri ed anche delle nostre strade. È proprio da questo pensiero che nascono le ‘pietre di inciampo,’ i sanpietrini di ottone che dal 1992 si stanno diffondendo in tutte le città europee per ricordare i luoghi in cui abitavano le persone deportate verso i campi di sterminio.
Milano è una delle città dove le pietre sono più numerose. Ad oggi, infatti, Milano conta 121 pietre dedicate alle 121 vite milanesi spezzate dalla deportazione nazifascista.
Come ogni anno, anche quest’anno ho deciso di aderire al progetto del Comune di Milano sulle pietre di inciampo, e cogliendo l’occasione della giornata di oggi, ho deciso di raccontare la storia di Wanda Vera Heiman, una delle persone a cui verrà dedicata una nuova pietra a Milano, in Corso Venezia 39, il 1° Marzo 2022.
Wanda Vera Heiman nasce ad Alessandria d’Egitto il 7 Luglio del 1887 da Eugenio Heiman ed Elena Vita. Penultima di cinque figli, torna insieme alla famiglia in Italia, a Bologna, nel 1892, proprio prima della nascita di suo fratello più piccolo. Fin da giovane mostra un’indole battagliera e, per l’epoca, estremamente indipendente, che la porta a viaggiare e a perseguire le cause in cui crede. A soli 22 anni queste la spingono fino a New York, dove viene registrata come “attivista” all’interno del registro immigrazione del transatlantico Duca d’Abruzzi. Qualche anno più tardi, è sempre il suo spirito ribelle che la porta ad aderire al Fascismo della prima ora e a tornare oltre oceano come giornalista per conto del Popolo d’Italia. Ma è anche una donna pronta a cambiare rotta sulla scia delle proprie idee, tanto che nel 1933, a seguito di alcuni episodi sovversivi, viene più volte denunciata e accusata di antifascismo: non solo rivolge diverse dichiarazioni e intimidazioni contro il regime e contro Benito Mussolini stesso, prevedendone la fine imminente, ma minaccia platealmente di pubblicare all’estero “documenti estremamente compromettenti.” Il confino politico a cui viene condannata dura per ben sette difficili e lunghi anni, terminati nel 1940. Da qui, un buco nella sua biografia fino a quando, nel Dicembre 1943, viene arrestata nella sua casa di Milano come “ebrea nemico dello Stato” e condotta al carcere di San Vittore, dove rimane fino al 30 Gennaio 1944. Questo giorno segna la data in cui viene deportata dallo scalo merci della Stazione Centrale con il convoglio n.24, insieme ad altri 604 ebrei innocenti. Da quando arriva al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, il 6 Febbraio del 1944, di lei non si sa più nulla.
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