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TERRORISMO A BUFFALO: IL SUPREMATISMO BIANCO NON SI FERMA

Nel pomeriggio di sabato 14 maggio, a Buffalo nello stato di New York, Payton Gendron, un ragazzo di 18 anni, è entrato in un supermercato e ha iniziato a sparare sulla clientela, uccidendo 10 persone e ferendone 3. Di queste, 11 erano afroamericane. Gendron ha anche ripreso la scena per mostrarla online in diretta su Twitch.


Prima del 14 maggio, Gendron aveva pubblicato online il suo manifesto di 106 pagine, in cui descrive la sua “filosofia,” anticipa la strage e il movente. In queste pagine si descrive come un suprematista bianco e dichiara il suo appoggio alla teoria cospirazionista del “Great Replacement,” la convinzione che i bianchi vengano sostituiti nei loro paesi da immigrati non bianchi con il risultato dell’estinzione della razza bianca.


Negli scorsi anni, abbiamo assistito ad attentati con lo stesso identico schema, come la strage di Utøya in cui sono stati uccisi 77 ragazze e ragazzi partecipanti a un campo del partito socialdemocratico svedese. O come l’attentato compiuto da Brenton Tarrant a Christchurch (Nuova Zelanda) in cui sono morte 51 persone e di Luca Traini a Macerata. Questi individui non sono lupi solitari, ma sono terroristi collegati tra loro da una matrice ideologica comune di destra estrema e razzista.


Il terrorismo suprematista di estrema destra da diversi anni compie stragi e poggia su un network di collegamenti internazionali, esattamente come analizzato da Luca Mariani nel suo libro “Rete nera. Non ci sono lupi solitari.” Nonostante le centinaia di vittime negli ultimi dieci anni, si continua a sottovalutare e a minimizzare il terrorismo di estrema destra, dipingendolo come frutto di lupi solitari isolati. Non è così che si combatte il terrorismo: bisognerebbe invece ricostruire la rete che si nutre di odio contro il diverso e diffonde questi messaggi sul web, rintracciare chi condivide ideologie suprematiste di estrema destra e denunciare gli appoggi insospettabili di cui questo movimento gode.

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