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Da Boldrini a Boeri: i rapporti del Pd con la società civile


Il giorno dopo l’elezione di Laura Boldrini a Presidente della Camera e di Piero Grasso a Presidente del Senato arriva la notizia che all’assessore milanese Stefano Boeri sono state ritirate le deleghe alla Cultura. E’ in questa parabola che si inscrive il complesso rapporto tra Partito Democratico e figure della società civile prestate alla politica. Il Partito Democratico vi fa ricorso, soprattutto in momenti di crisi (segnare un punto di discontinuità, come nella nomina dei presidenti delle Camere; trovare un candidato sindaco in una città dove si è fatto fatica a costruire credibilità e autorevolezza della politica e quindi si ricorreva a una figura esterna ai partiti).

E’ estremamente riduttivo pensare però che le personalità della società civile siano figurine da aggiungere all’album per darsi una rinfrescata e che la gestione del rapporto con loro non comporti un ripensamento di come funziona l’organizzazione-partito. Sono persone con esperienza, visione, vissuti anche lontani dalla politica, che devono però essere integrati nella capacità di formulare proposta politica all’interno di un’organizzazione. Quello che il PD non è riuscito a sviluppare (almeno nella vicenda Boeri, che in questo senso è paradigmatica) è un rapporto virtuoso di inclusione tra il partito, i suoi riti e liturgie, e chi non è socializzato a questi riti, a questo modo di procedere, perché nella vita ha fatto altro.

In questo senso, si può leggere il difficile rapporto tra Partito Democratico, soprattutto locale, e Stefano Boeri. Certamente, Boeri non è uno abituato a giocare in squadra, ma è indubbiamente una risorsa unica per la sua capacità di visione e per i rapporti internazionali e professionali che ha sviluppato nel suo lavoro. E’ una persona che è stata disponibile ad impegnarsi anche direttamente nel partito, e quindi con una generosità che andava oltre il suo mandato specifico di amministratore. L’incapacità del PD di gestire in modo autorevole e con il dialogo il rapporto – non sempre facile e non sempre facilitato dallo stesso Boeri –  con il suo capolista alle elezioni comunali ha portato al fatto che la struttura del PD non lo abbia mai integrato come una risorsa da valorizzare, ma come un problema e che quindi a Boeri siano spettate solo difese d’ufficio.

La rottura tra Boeri e Pisapia è prima ancora una rottura tra il Partito Democratico milanese e lombardo e Boeri. E’ figlia di un modo di intrattenere i rapporti con la giunta di Milano che prevede di privilegiare i rapporti diretti con il sindaco, piuttosto che con il PD. Ed è un pessimo viatico per l’insediamento di due figure della società civile prestate alle istituzioni. Perché se la politica per rinnovare la propria credibilità deve ricorrere a figure esterne, non può continuare a organizzarsi come se queste siano “corpi estranei” al partito, ma ne diventino parte integrante.

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